La tragedia che sta colpendo il Mondo sta sconvolgendo le certezze di chi non è più abituato, come i nostri padri, a confrontarsi con la catastrofe. 

Ma da ogni catastrofe si esce e si esce con una “tabula rasa” sulla quale è possibile riscrivere il nostro modo di esistere. 

Limitandoci alla sola percezione dell’urbano (…ma la cosa può estendersi anche ad altri campi) possiamo affermare che la pandemia ci ha posto di fronte all’inversione degli opposti. 

La città, che oggi si presenta vuota, recupera tutta la sua forma, l’architettura si distende per mostrarsi nei suoi rilievi esaltati da ombre lunghe di un sole beffardo di cui, chiusi in casa, non possiamo godere. 

Una logica degli opposti in cui il termine prima soccombente si esalta e in cui quello prima prevalente e mal percepito sembra cedere, ma che può essere recuperato. 

Il senso del: 

Vuoto / pieno: la città si presenta vuota, ma non è mai è stata così piena dei suoi abitanti; 

interno / esterno: le case, luogo di permanenza notturno e dormitorio, rivendicano la loro capacità di aggregazione e di residenza a tempo pieno; 

centro / periferia: il vuoto apparente della periferia, che lo rende quasi un non-luogo, si trasferisce ed incombe sul centro; 

città / campagna: la città sembra spegnersi e morire, mentre la campagna conserva la sua vitalità; 

realtà / rappresentazione: la città fisica, prima letta e fruita frettolosamente in una rappresentazione monodimensionale e metafisica, diventa, nel suo crudo silenzio e nell’assenza del traffico, a N dimensioni, conquistando ogni sua caratteristica in una lettura non di soli primi piani, ma attraverso piani- sequenza. 

Si potrebbe continuare nelle dicotomie. 

La città da luogo estroverso diventa introverso, lo spazio esterno rivive nell’interno, l’assenza diventa presenza. 

Tutto questo anziché sminuire la percezione dell’urbano ne esalta tutte le componenti. 

Un architettura urbana obliqua e vuota che va dritto al cuore e lo riempie. 

Sarebbe facile cogliere l’occasione e di rifondare la nostra esistenza, ma al mio paese i vecchi contadini dicevano: “i ciucc’ cad’ a l’ nnitt” (cioè l’asino cade sul pulito cioè dove non ci sono ostacoli). 

Roma, sabato santo 2020

Nicola Ciaburri 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.