Ho sempre pensato che lavorare al riordino di un archivio crei un legame particolare tra quello che, con linguaggio burocratico, si chiama “Ente produttore” (in cui sono compresi sia i soggetti che le carte le hanno prodotte che tutti coloro che ne sono stati oggetto) e l’archivista, la persona cioè che, a distanza di secoli, o anche solo di pochi decenni, affronta quegli stessi documenti per dare loro l’ordine logico che li trasformerà nella struttura portante della storia. Ci sono archivi più “asettici” e altri più “emozionali”, ma raramente si trovano fondi documentali che lasciano del tutto indifferente chi per mesi, o per anni, ne studia le carte per dare loro un senso storico.

Nel 1998 ho lavorato per oltre un anno alla schedatura delle Cartelle cliniche del Manicomio S. Niccolò di Siena che andavano dal 1842 al 1950. È un Fondo particolarmente “emozionale” perché ogni cartella racconta una storia umana assai dolorosa, con risvolti sociali, culturali e politici quasi sempre tragici. I pazienti del Manicomio appartenevano di norma a classi sociali bassissime e venivano classificati sia in base alla professione, con una percentuale elevatissima, superiore all’80%, di coloni e braccianti, a cui si aggiungeva una piccola quota di nullafacenti, vagabondi e mendicanti, sia in base alla condizione economica classificata come povera/poverissima, miserabile. Ogni storia aveva una sua particolare tristezza, e alcune di esse mi hanno lasciato un segno molto forte, ancora vivo a distanza di molti anni, ma la storia di Bernardo Pancarelli nella memoria ha sempre prevalso sulle altre per la sua tragica crudezza che la rendeva particolarmente dolorosa anche nel contesto manicomiale.

Bernardo Pancarelli, nato a Volterra il 21 agosto del 1890, di «professione nessuna e di condizione povero» a 14 anni fu ricoverato in Manicomio con la diagnosi di “Follia morale”. Nell’anamnesi fatta all’atto del ricovero si legge: «Figlio di Spedale. Preso a benvolere da una famiglia benestante fin da piccolo cominciò a dar loro dispiaceri di ogni sorta, fino a che furono costretti a metterlo in una casa di Correzione da cui venne licenziato perché dichiarato incorreggibile».

L’anamnesi medica dava da subito del povero ragazzo una cinica descrizione: «Il Pancarelli sotto le sembianze della calma e della mansuetudine nasconde un animo cattivo e maligno», e viene quasi subito isolato dagli altri bambini con l’accusa di molestarli perché «noioso, dispettoso e insopportabile» e anche quando si comporta bene con compagni e personale la cosa viene letta con dubbi e diffidenza: «perché mostrandosi verso loro buono e amoroso se ne aspetta benefici e utilità. I sentimenti morali […] si può dire che siano pervertiti. I sentimenti religiosi sono deboli e forse anche poco compresi». Ovviamente anche la sessualità non è “normale” perché: «non nasconde di essere onanista e con una indifferenza ributtante ci fa sapere che ha assistito nella Casa di Correzione e fuori, senza prendervi parte, ad atti contro natura e ad oscenità che farebbero sospettare assai della veridicità della sua purezza e della sua innocenza». E benché il medico riconosca che non ha preso parte agli atti, peraltro da lui stesso narrati, non lo assolve. Anzi rimarca continuamente la sua ambiguità: «mentre dinanzi a noi è regolare di contegno ed ha un atteggiamento di persona quieta e docile, in compagnia è perfido e insopportabile. Lo stato fondamentale della psicopatia consiste in un pervertimento dei sentimenti morali accompagnato forse da un lieve grado di difetto intellettuale». 

Alla fine di agosto 1890, a solo pochi giorni dal ricovero, già è stato etichettato come simulatore. Nella cartella, infatti, si legge: «Il Pancarelli in questi pochi giorni ha cercato di insinuarsi nell’animo nostro e di acquistare la nostra fiducia col fare le più belle promesse di buona condotta e col mostrarsi pentito della vita scorretta mostrata fino a qui»

Qualche mese dopo, il 31 ottobre 1890 nella cartella si legge: «Ha mantenuto il solito carattere, le solite tendenze che ci fanno ritenere essere il soggetto affetto da follia morale. Si compiace a narrare tutte le bricconate che ha commesso e i dispiaceri cagionati ai genitori adottivi».

Negli anni successivi è un alternarsi di atti di ribellione e di punizioni. La terapia usata è quella solita dell’epoca: il cloralio che tiene i soggetti sedati in un perenne stato di leggera confusione mentale. Altrimenti si ricorre a mezzi di contenimento come l’isolamento in cella o l’uso di manette mentre dalla Cartella non risultano trattamenti di elettroshock che pure erano praticati frequentemente sui pazienti.

Ottobre 1894: «In questo lasso di tempo il Pancarelli non ha smentito il suo carattere morboso ed il pervertimento del senso morale che dà l’intonazione alla sua malattia. Ben raramente, e solo per pochi giorni ha potuto essere tollerato a vita comune e spesso oltre all’isolamento in cella è stato necessario ricorrere ai mezzi coercitivi, non tanto per misura disciplinare, quanto per impedirgli di danneggiare la camera e di staccare i ganci della branda per valersene come grimaldello. Ma anche l’isolamento in cella non ha potuto impedire che esso oltre il cattivo esempio desse ai compagni pessimi suggerimenti istigandoli ad atti di insubordinazione o di violenza, alla lascivia ed alla sodomia attiva e passiva. […] Per questi motivi e per tentare il cambiamento di ambiente il Pancarelli viene oggi trasferito al quartiere Conolly» 

Il Conolly è il reparto dei pazzi furiosi, dei pazienti aggressivi sia verso i sanitari che verso i compagni e che subiscono i trattamenti più radicali: legati per mesi ai letti di contenzione, imbottiti di cloralio, sottoposti ad elettroshock a coma procurato. Ma il cambio di reparto non rende più docile il ragazzo non ancora ventenne tanto che a dicembre 1894 nella cartella si legge: «non ha smentito il suo carattere morboso e le cattive inclinazioni» e ad aprile del 1895: «Più volte ha dato luogo a lamenti per indisciplina ed ultimamente sembra si fosse messo d’accordo con il ricoverato Lorenzetti per tentare l’evasione valendosi, come di chiavistello, di un fermaglio da finestra che aveva potuto sganciare dal muro e che gli fu trovato indosso. Da quel giorno allo scopo di sventare qualunque complotto è stato isolato in cella».

Il 31 dicembre del 1895 leggiamo: «È il solito ragazzo indisciplinato, insofferente d’ammonizioni, bugiardo perciò molte volte è stato punito col privarlo del vitto o col fissarlo al letto» e a dicembre 1896: «È inutile descrivere minutamente il contegno tenuto durante l’anno da questo folle morale, giacché può dirsi che non è passato giorno senza che abbia fatto qualche bricconata». Il Pancarelli è un osso duro, ribelle a qualunque forma di controllo, indifferente ad ogni cura, ma il suo organismo non è pari alla sua fibra mentale e bastano pochi anni per sconfiggerlo: il 9 dicembre 1900, a soli 24 anni e dopo dieci anni di vita manicomiale, muore di tifo polmonare nell’ospedale psichiatrico S. Niccolò di Siena.

Antonietta Cutillo

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